identità di genere

Stereotipi e identità di genere

Fiocco rosa, fiocco azzurro? Maschi e femmine, fiocco rosa e fiocco azzurro, bambole e macchinine, danza e calcio.

Vediamo insieme come si costruisce l’identità di genere di un bambino e quanto e come essa sia influenzata dagli stereotipi delle figure adulte che lo circondano.

Sviluppo dell’identità di genere

Quando si parla di identità nelle scienze sociali, si intende, la concezione che l’individuo ha di sé.

In particolare lo sviluppo dell’identità di genere, da un punto di vista cognitivo, avviene per tappe che portano il bambino dalla capacità di definirsi come maschio o femmina alla comprensione del fatto che il sesso di appartenenza rimarrà tale, indipendentemente dai cambiamenti estetici.

Fin da piccoli i bambini sanno distinguere una voce maschile da una femminile.

Verso i nove mesi sono già capaci di discriminare tra i sessi. Spesso però, pur essendo consapevoli della differenza dei genitali, preferiscono usare aspetti esteriori, come ad esempio acconciature e vestiti, per differenziare i maschi dalle femmine.
Intorno al secondo anno di vita si prende consapevolezza che le persone si dividono tra maschi e femmine.

Questi concetti si strutturano nel tempo, quando vengono a consolidarsi almeno tre aspetti:

  • L’identità di genere: dai diciotto mesi di vita. Capacità di classificare sé stessi e gli altri come maschi e femmine
  • La stabilità di genere: dal quarto anno d’età. Compare quando il bambino realizza che il sesso di una persona rimane invariato per tutta la vita.
  • Il principio di costanza di genere: intorno ai sei/sette anni i bambini capiscono che il genere rimane tale anche se il soggetto effettua delle modifiche a quei tratti che ne stabilivano l’identificazione, come per esempio il taglio dei capelli di una bambina.

Il ruolo dell’ambiente e della famiglia nella formazione degli stereotipi di genere

Il ruolo dell’ambiente è determinante nello sviluppo di genere.

Gli psicologi Bussey e Bandura (1999) hanno dimostrato come i bambini imparino certi comportamenti riguardanti il genere osservando i modelli di riferimento in relazione ai loro ruoli e ai diversi trattamenti. Nelle loro ricerche fu evidenziato, infatti, come genitori, adulti o insegnanti cambiassero il loro modo di rapportarsi e le loro aspettative a seconda del sesso della persona con cui entravano in contatto.

Si pose l’accento su quella che viene definita la “socializzazione di genere” o “socializzazione sessuale”, ossia l’apprendimento di ruoli ben definiti dal sesso di appartenenza, su cui si costruisce l’identità del soggetto.

Basti pensare come anche solo un indicatore neutro quale un colore, sia portatore di simboli e significati: il rosa per le femminucce, l’azzurro per i maschietti, così sono generalmente i fiocchi appesi in seguito ad una nascita.

Questo è solo l’inizio di una serie di attribuzioni fatte sulla base del sesso di appartenenza.

I genitori spesso tendono ad incoraggiare attività tipiche del sesso del figlio, soprattutto quando egli è ancora molto piccolo, e ad avere atteggiamenti differenti a seconda del genere di appartenenza.

In alcuni studi (Crouter, Whiteman, McHale e Osgood, 2007) venne dimostrato come i bambini riportassero, nel relazionarsi con gli altri, il trattamento ricevuto dal modello familiare e come esso ne influenzasse il ruolo che avrebbero intrapreso all’interno della società.

La famiglia è il primo posto, infatti, in cui vengono trasmesse le regole di un’identità sessualmente connotata.

Essa agisce su aree specifiche, come ad esempio:

  • La scelta dei giocattoli: per le bambine si avranno bambole, pupazzi, cucine, pentole, barbie, vestitini, trucchi, …, mentre per i bambini saranno usuali armi, macchinine, soldatini, palloni, costruzioni, …;
  • Lo stile di gioco: i maschi sono incoraggiati a mettere in atto giochi più attivi ed energici, le femmine dissuase e indirizzate verso giochi che comprendono la cura di sé, le attività domestiche, …;
  • L’ambito delle emozioni: i genitori tendono maggiormente ad affrontare le tematiche delle emozioni e dei sentimenti con le figlie femmine piuttosto che con i maschi, rendendole maggiormente in grado di gestire e leggere le proprie e altrui emozioni e rendendo deficitari di ciò i maschi;
  • L’aggressività: è più tollerata nei maschi che nelle femmine;
  • L’assegnazione dei compiti: ai maschi vengono assegnati compiti domestici stereotipicamente considerati come maschili e viceversa per le femmine.

Il sesso biologico determina lo sviluppo cognitivo, affettivo ed emotivo del bambino, in quanto sarà fin da piccolo causa di categorizzazioni e di stili di comportamento e assegnazione di ruoli ben definiti.

Questo ci introduce inevitabilmente a quelli che vengono definiti stereotipi di genere, ossia le conoscenze riguardanti le caratteristiche, i ruoli, gli attributi e le attività che si immagina facciano la differenza tra maschi e femmine. Sono un insieme di credenze pervasive e resistenti che originano dalla convinzione che uomini e donne siano distinguibili da determinate caratteristiche che vanno al di là del patrimonio biologico.

Sin dai tempi antichi si è sempre fatta una distinzione tra donne e uomini, in particolare per le diverse funzioni a cui sono destinati.

Le donne erano considerate come le addette alla riproduzione, alla cura dei bambini, della casa e del marito, con un ruolo radicato all’affettività. Gli uomini al contrario erano considerati responsabili della progettualità esterna al gruppo, con un ruolo basato in particolare sulla forza fisica e sulle capacità cognitive.

Queste differenze hanno portato a quelli che sono gli stereotipi nella loro attuale struttura.

Nelle diverse culture, ancora oggi, si tende a fare una rigida distinzione tra sesso maschile e femminile, definendo il primo con caratteristiche quali la forza, la razionalità, la competitività, l’autonomia e il secondo con caratteristiche quali la fragilità, l’emotività, l’insicurezza, la dipendenza e la dolcezza.

Oggi si è arrivati a pensare che il riconoscere in sé caratteristiche culturalmente in armonia con la propria appartenenza di genere comporti l’automatica negazione di caratteristiche tipiche dell’altro sesso.

identità di genere

Il genere di appartenenza è una delle prime caratteristiche che il bambino utilizza per classificare gli altri, ed è di fondamentale importanza per la costruzione del sé.

La categorizzazione di genere che il bambino attua nel tempo è mediata inizialmente dalla coppia genitoriale, portatrice di valori personali e di valori socialmente condivisi e, successivamente, da più ampi contesti sociali.

I bambini si trovano molto presto davanti ad una radicale dicotomia, senza saperne realmente il significato e, crescendo, vanno incontro ad un’inibizione dei comportamenti tipici del sesso opposto e ad un rafforzamento di quelli del proprio sesso.

Può accadere che la rigidità dei modelli genitoriali e del contesto familiare in cui il piccolo è inserito gli impediscano di vivere esperienze utili per la formazione del suo sé e gli neghino la spontaneità emotiva e comportamentale tipica dell’età.

L’inibizione ha come conseguenza l’emergere di un “dover essere” che porta il bambino a scegliere attività che i genitori si aspettano da lui, senza poter fare quelle di cui ha veramente bisogno per esplorare la propria immagine corporea e la propria identità.

Concludendo possiamo affermare quanto nella cultura di oggi la categorizzazione maschio/femmina sia radicata e quanto sia dannosa per la crescita del bambino.

Spesso si pensa che il giocare con le bambole per un maschietto e con le macchinine per una femminuccia possa essere l’inizio di un disturbo futuro. Non ci si rende conto che è proprio la negazione della sperimentazione e la presenza di questi schemi mentali a infondere nel bambino paure e timori ed a negarne la spontaneità e la libertà di scelta.

Ogni bambino deve essere libero essere se stesso e di diventare ciò che desidera. Che sia un astronauta, un attore o un ballerino.

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